
13 Mag La “sindrome della capanna”: confesso che la routine da quarantena mi mancherà
ARRIVA DALL'AMERICA
Il termine “sindrome della capanna” o “sindrome del prigioniero” è stato coniato in quelle regioni degli Stati Uniti in cui il rigido inverno costringe gli abitanti ad una sorta di “letargo”.
L’isolamento è spiacevole ma, per fortuna, i nostri meccanismi di sopravvivenza ci permettono, in queste situazioni, di contrastare il disagio iniziale e di adattarci piano piano al confinamento.
C’è anche chi si abitua alla nuova routine e ai nuovi ritmi, tanto da avere poi paura a ritornare alla normalità.
Se ci pensi è un po’ quello che ci è successo con l’isolamento che ci siamo trovati a dover affrontare per combattere l’epidemia da Covid-19.
È arrivato il tanto atteso 4 maggio e si allenta il lockdown ma c’è chi, proprio ora, si tira indietro per paura o perché ormai si è adattato ai nuovi ritmi.
Dopo mesi di quarantena c’è chi vive l’ansia di riprendere i ritmi precedenti, la paura di uscire e, magari, c’è anche chi ha scoperto che la vita in casa non è poi tanto male come si pensava all’inizio.
E questa, a detta degli esperti, è una reazione del tutto normale.
E tu cosa ne pensi?
Ti eri quasi abituata a vivere isolata nella tua casa?
Pensavi che l’avresti presa peggio e invece, quasi quasi, stava cominciando a piacerti?
O, come dice la mia amica Anna: “I giorni volano, ho talmente tante cose da fare che non riesco proprio ad annoiarmi”.
Ma… è possibile questo? È possibile che qualcuno si sia davvero abituato a questa situazione?
Sembrerebbe di sì.
È vero che, per la maggior parte delle persone, l’isolamento è stato una brutta forzatura e ha significato gestire, con difficoltà, la “mancanza di qualcosa”.
Per tanti altri ha significato dover accettare convivenze forzate e prolungate a cui non si era abituati.
Per alcuni, invece, la quarantena è stata, paradossalmente, un modo per trovare uno stato di equilibrio mentale.
Nella fase iniziale della quarantena, sicuramente ci siamo tutti sentiti disorienti, impauriti e preoccupati, poi molti di noi hanno progressivamente cercato di ricostruire una nuova routine quotidiana, fatta di gesti, azioni, momenti che, proprio perché ripetuti in maniera costante tutti i giorni, sono diventati gesti “rassicuranti’”, sono diventati la “nuova routine”.
COSA DICONO GLI PSICOLOGI
Gli psicologi dicono che ci vogliono 21 giorni per crearsi una nuova abitudine.
È ovvio che nessuno si è mai abituato alla conta delle vittime e dei contagiati, ma coloro che, tutto sommato sono riusciti ad apprezzare questa “nuova routine”, hanno creato una propria comfort zone in casa, lontano dal confronto con gli altri.
Quasi un’oasi domestica distante dallo stress, dalla frenesia e dal peso di un futuro incerto.
Ognuno di noi ha reagito e reagirà in maniera diversa a seconda di come siamo fatti, ovvio.
Ma mi piacerebbe che tutti avessimo la capacità di fronteggiare gli eventi negativi in maniera positiva e costruttiva, la capacità di trovare, in una condizione apparentemente spiacevole, delle opportunità non solo di sopravvivenza, ma anche di crescita personale.
Ad esempio io ho delle amiche (io stessa l’ho fatto) che hanno approfittato di questo periodo per crescere professionalmente facendo corsi di formazione on line e studiando. Sicuramente una cosa che abbiamo apprezzato un po’ tutti è quella di avere tempo.
Abituati alle nostre vite più o meno frenetiche, a fare sempre tutto di fretta e a fare giochi mortali per riuscire ad incastrare tutti gli impegni di una giornata, durante la quarantena, ci siamo ritrovati ad avere un sacco di tempo.
Abbiamo avuto tempo per stare in compagnia dei nostri figli, mariti, mogli, di riprendere i contatti con persone che non sentivamo da mesi, per preparare i pasti con calma, per tenere pulita la casa, per leggere, per allenarci e, perché no, per riscoprire i nostri hobby.
Abbiamo avuto anche modo di riscoprire chi siamo, al di là della frenesia e della fatica delle solite giornate passate di corsa fra un impegno e l’altro.
IL TIMORE DEL 4 MAGGIO: A CHI MANCHERÀ LA QUARANTENA?
Ebbene sì, se all’inizio poteva sembrare una follia rimanere rinchiusi nelle quattro mura domestiche per settimane, ad un certo punto è sembrato essere la normalità.
Sicuramente quando tutto finirà saremo contenti di non sentire più ogni giorno il triste bollettino dei nuovi morti e dei contagiati e saremo felici di uscire dai nostri appartamenti e di abbracciare di nuovo le persone che ci sono mancate.
Ma dal 4 maggio inizierà la prima, graduale riapertura di alcune attività e, in alcuni di noi, si è diffusa una certa inquietudine.
Tutto sarà diverso, questo lo abbiamo capito.
Il problema è che non sappiamo bene COME sarà.
Avremo tante nuove possibilità, ma anche tante nuove preoccupazioni.
Siamo stati messi di fronte ad uno sconvolgimento delle nostre abitudini all’inizio della quarantena e questo ci ha scosso e spaventato, poi abbiamo visto che ci siamo lentamente appropriati di nuovi ritmi di vita.
Adesso la situazione ci permette di ritornare alla nostra vecchia routine, ma nulla sarà come prima. Dovremo affrontare un nuovo un cambiamento radicale, tra l’altro a poco tempo di distanza da un altro, e questo è normale che ci spaventi. Secondo me un po’ di ansia per il futuro è assolutamente giustificata; in qualunque modo andrà, la cosa certa è che il nostro futuro sarà diverso da come lo avevamo previsto anche solo tre mesi fa.
L’impatto che questa emergenza sta avendo a livello economico è sotto gli occhi di tutti; c’è chi ha perso il lavoro, o la probabilità di trovarne uno, ha perso risorse e guadagni. Ritornerà il pensiero del futuro che, durante la quarantena, avevamo messo un po’ in stand-by.
Inoltre ci sarà la paura di stare in mezzo a tante persone e di contrarre il virus oppure di infettare un amico o un parente.
Temo che la paura e la diffidenza verso l’altro non ci abbandonerà tanto presto; faremo fatica a fidarci di nuovo degli altri e il contatto ravvicinato ci farà paura ancora per un po’ di tempo. Se penso ad un viaggio in autobus o in metropolitana, me lo immagino come un incubo.
Le nostre case, durante il lockdown, sono state il nostro rifugio, ci hanno tenuto al sicuro dal coronavirus ma anche lontani da una vita spesso stressante. La cosa che mi fa più paura è che tutto questo ci porti ad uno stato di allerta costante che ci farà cercare di nuovo la protezione dell’isolamento e il modo per evitare il contatto con le altre persone.
Tutto sommato, la quarantena era un po’ un limbo che aveva messo in pausa tutto, non si poteva programmare niente, non c’erano decisioni da prendere. In pratica non si doveva far altro che aspettare.
Ora è arrivato il momento di riprenderci in mano la nostra vita e in molti stiamo esprimendo delle perplessità, e temiamo di non essere pronti ad affrontare un nuovo cambiamento e tutti i processi che questo comporta.
COSA PORTARE CON NOI DALLA QUARANTENA
Io non so come affronteremo il futuro e non ho nemmeno le competenze per dare consigli, però penso che ognuno di noi debba dare un qualche significato alla sua esperienza di quarantena e saper accettare qualsiasi cosa il futuro ci riserverà.
Per “accettazione’ intendo la capacità di osservare le proprie reazioni, le proprie emozioni e accoglierle senza giudicarle, ascoltare ciò che ci stanno dicendo e non evitarle.
Ora come non mai mi sento di condividere il motto #andràtuttobene.
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